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venerdì 12 giugno 2009

Processo per l’omicidio di Meredith Kercher: Amanda - mi chiamavano stupida bugiarda

Si è presentata in aula con una camicetta e pantaloni chiari, i capelli raccolti a coda, Amanda Knox al suo arrivo nell’aula della Corte d’Assise di Perugia dove è in corso il suo interrogatorio nel processo per l’omicidio di Meredith Kercher, nel quale è imputata insieme a Raffaele Sollecito. La giovane americana ha accennato un sorriso rivolto ai suoi avvocati. In aula anche il padre Kurt il quale al suo arrivo al Palazzo di Giustizia ha annunciato che oggi si vedrà «una nuova Amanda, non quella dark angel che è stata descritta finora». Presente al processo, come al solito, anche Raffaele Sollecito, che oggi indossa jeans e una camicia rosa.

«Sotto pressione ho immaginato tante cose»: Amanda Knox ha giustificato così le accuse a Patrick Lumumba rispondendo alle domande del legale che rappresenta il musicista come parte civile. Riferendosi agli interrogatori ai quali venne sottoposta prima di essere arrestata, ha parlato di «dichiarazioni prese contro la mia volontà. Tutto ciò che ho detto l’ho detto sotto pressione. Mi è stato suggerito dal pubblico ministero. Loro (il riferimento della domanda era alla polizia - ndr) suggerivano la via».

Ecco un passo dell’interrogatorio:
Amanda Knox: «Sotto pressione ho immaginato tante cose diverse».
Avvocato Carlo Pacelli (legale di Patrick Lumumba): «Le ha suggerito la polizia di dire che Meredith aveva fatto sesso la notte dell’omicidio?».
Amanda Knox: «Si»
Avvocato Pacelli: «L’hanno picchiata per farle dire questo?».
Amanda Knox: «Si».
Avvocato Pacelli: «Ha accusato Patrick per salvare se stessa?».
Amanda Knox: «No».

La Knox ha quindi negato di avere incontrato Patrick Lumumba e di essere stata nella casa del delitto la sera del primo novembre del 2007. Ha sostenuto di essere stata chiamata ripetutamente «stupida bugiarda» durante gli interrogatori sostenuti in questura la notte tra il 5 e il 6 novembre del 2007 prima di essere arrestata. La giovane di Seattle, parlando in italiano, ha spiegato di essersi recata in questura quella sera perché aveva paura di stare sola «perché non avevano trovato chi aveva fatto questa cosa». «Quando ho accusato Patrick non sapevo se ero colpevole o no. Sapevo solo che non ero là (nella casa del delitto, ndr)».

«Quando ha visto il messaggio sul mio cellulare la polizia è diventata molto dura con me - ha ricordato Amanda riferendosi alla notte in questura - e per ore, ore, ore mi hanno chiamato “stupida bugiarda” e mi dicevano che stavo cercando di proteggere qualcuno. Mi hanno picchiato due volte per farmi dire un nome che però io non potevo dire, perché non sapevo. Io continuavo a ripetere che non c’entravo nulla con l’omicidio e che ero restata tutta la sera a casa di Raffaele. Loro continuavano ad insistere dicendo che avevo lasciato l’appartamento per un certo tempo per vedere qualcuno. Mi continuavano a ripetere di ricordare perché secondo loro avevo dimenticato. L’interprete mi disse che avevo subito un trauma. Ho avuto molta paura. Tutti urlavano e nella mia confusione, ci mettevano così tanta enfasi quando mi dicevano che avevo incontrato qualcuno, che alla fine mi ero convinta che era accaduto davvero...ma ero confusa”.

È allora che Amanda indicò Patrick Lumumba come l’autore del delitto: «In carcere, quando ho avuto tempo di pensare a ciò che era successo mi sono resa conto della realtà e stavo male pensando che Patrick era in carcere anche se non c’entrava nulla con questa storia. Che era stato incastrato per colpa mia».

Amanda ha riferito come, i giorni successivi al delitto, volesse stare sempre accanto a Raffaele perché aveva paura: «Avevo paura di restare sola ed è per questo che la sera del cinque novembre raggiunsi Raffaele in questura».  (Cit. Fonte Il secolo XIX.it)

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